Da Abramo a Giuseppe : dalla genitorialità alla paternità responsabile

Per meglio comprendere la sostanziale differenza fra genitore e padre mettiamo a confronto due figure della Bibbia: Abramo e Giuseppe.
L’Arcivescovo emerita Mons. Giuseppe Agostino, parlando della figura di S. Giuseppe ci offre una profonda riflessione su tale differenza "!Giuseppe fu padre ma non genitore…La paternità di Giuseppe vera, pur se non carnale, s’inserisce anche in una tradizione semita che relativizza la generazione biologica a favore di una reale paternità su un altro piano… oggi la psicanalisi può aiutare ad esprimere la vera paternità di Giuseppe, quando invita ad evitare la confusione tra padre e genitore.
Occorrono pochi secondi all’uomo per essere genitore.
Essere padre è un’avventura…”.
Il gesto di Abramo di offrire il figlio come vittima offerta a Dio senza discutere, ce lo situa come genitore, ovvero come colui che ha generato nella carne il figlio Isacco ma non ancora nell’amore. Egli esercita la sua genitorialità come un potere ed un controllo sulla vita.
Egli obbedisce a Dio per paura e non per “il sacro timor di Dio”, paura di qualche privilegio che può perdere, una diminuzione del suo potere. Dimentica totalmente che la vittima sacrificale è il figlio. E’ ancora tutto centrato su se stesso tanto da non riconoscere che chi gli sta di fronte è un altro da sé sulla cui vita non ha nessun diritto di decidere.
Lo sguardo di Abramo non riconosce il figlio nemmeno quando questi gli chiede dove sia l’agnello da sacrificare.
Mons. Agostino prosegue:” Dio attraverso Giuseppe inaugura nella storia quella superiore economia che esige una generazione non dipendente dalla carne e dal sangue”
Abramo, dunque, non è ancora entrato in questa economia superiore, in questa storia di salvezza che vuole una generazione più alta a chi è già genitore nella carne ma non è padre in una relazione d’amore con i figli che ha generato.
A rafforzare la nostra riflessione ci aiuta Dolto quando afferma:”La parentela del sangue non è la parentela che possa vantare dei diritti nel Regno di Dio. Giuseppe entra a far parte di una nuova famiglia che trae origine solo dall’iniziativa divina. Tale ingresso suppone una chiamata dall’alto e una risposta permeata di obbedienza e di fede, strumenti della nuova generazione”.
Abramo, possiamo dire, entra a far parte di una nuova famiglia che trae origine da Dio,quando Dio, nel momento in cui Isacco sta per essere sacrificato, pone un agnello come vittima sacrificale. E’ in quel momento che nasce in Abramo la coscienza di Dio, quello sguardo profondo che va oltre i suoi limiti umani, le sue pretese umane,la sua genitorialità tutta umana, quella coscienza che lo porta a trascendersi e a vedere in Dio quella paternità assoluta a cui ogni paternità umana deve fare riferimento. L’intervento di Dio che salva la vita di Isacco toglie Abramo dalla sua paura di Dio e fa nascere in lui la presenza, la coscienza di un Dio Padre. Ed è questa coscienza che gli restituisce la sua autentica paternità genitoriale piuttosto che una genitorialità patriarcale fatta di potere e di controllo. La nascita a padre genera nel contempo la nascita di Isacco come figlio.
“Ogni paternità è autentica – prosegue l’Arcivescovo– in misura che è segno della paternità di Dio… la carnalità non esaurisce la paternità, anzi, talvolta, diviene motivo di ossessività. Giuseppe visse la paternità come dono consumativo di sé senza appropriarsi di nulla. Non timbrò nulla con il suo io la fede di Giuseppe non fu un gioco emotivo, una compensazione del suo io… ma fu destezza personale che in lui si manifesta fede obbediente, concreta.”
La partecipazione di Dio è l’atto di nascita della sua paternità più autentica perché Abramo evolve da una generatività da lui manipolata, passa da un narcisismo biologico alla coscienza di aver generato un figlio: un’altra persona. L’azione di Dio autentica la sua fede perché gli fa scoprire una dimensione della persona fino ad allora a lui sconosciuta, l’amore, l’affettività, la relazionalità. Egli comprende che Dio si incontra nella fede, ma che la fede è dono di sé, la fede è amore.
Tutto questo ci insegna che i figli non sono i nostri, noi non siamo i padroni dei nostri figli e quando li lasciamo liberi non li perdiamo ma li ritroviamo. E gli errori che commettiamo nei loro confronti seguendo i nostri attaccamenti morbosi, i nostri legami esagerati e i nostri affetti squilibrati, ricadono su di loro e li segnano per la vita. Infatti, Isacco porterà con sé le conseguenze di quella mancata immolazione.
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