Letizia di Memmo
Famiglia e rapporto tra fratelli
Tutti siamo portati a pensare che essere nati dagli stessi genitori ci fa diventare fratelli e dimentichiamo che dal solo aspetto genetico non sempre e per naturalità si è “fratelli”.
Il rapporto tra fratelli ha bisogno di essere costruito, educato e curato giorno per giorno e, come ogni altro rapporto relazionale, non può essere dato per scontato. La maggior parte dei genitori sperano che i loro figli si vogliano bene, si sostengano e si prendano cura l'uno dell'altro durante il corso delle loro vite.
Marcel Rufo, nella sua opera “Fratelli e sorelle”, proprio per sfatare questo mito dell’amore fraterno naturale e spontaneo, afferma che se i genitori potessero essere presenti all’apertura del loro testamento si renderebbero conto di come, tutte le volte che e in che misura, hanno dato per scontato che i figli si amassero tra di loro.
Questa considerazione ci fa capire che molte volte i genitori non sanno leggere, interpretare e comprendere i comportamenti relazionali tra i figli e le loro conseguenti reazioni.
Molto spesso accade che essi permettono tra i figli linguaggi e comportamenti poco rispettosi che, sotto forma di gioco verbale, celano dei continui attentati ai sentimenti.
Solo negli anni ’80, un’equipe interdisciplinare di pediatri, psicoanalisti e psichiatri dell’Università di Yale, USA rivelò un certo interesse per i rapporti fraterni e il loro effetto sullo sviluppo emotivo.
Partendo dal presupposto che i rapporti tra fratelli non sono una ‘riedizione’ del legame originario con i genitori, i ricercatori mettevano in discussione la teoria freudiana secondo la quale alla base del rapporto fraterno ci sia esclusivamente rivalità.
“Secondo il gruppo di Yale, – scrive Coles – il bambino quando ha un fratello o una sorella si trova davanti un insieme di triangolazioni diverse, sia in età pre-edipica che in fase edipica. Il conflitto fraterno di amore e gelosia è diverso dal conflitto edipico con i genitori. E il bambino che è venuto a patti con la gelosia verso il fratellino o la sorellina può uscire più facilmente a fare i conti con la frustrazione e il conflitto della situazione edipica...Ovvero, il fratello può essere... più malleabile del genitore negli sforzi del bambino nel trovare soluzioni adattive del conflitto edipico”. “...già prima dei sei mesi, per esempio, può formarsi tra fratelli e/o sorelle un forte attaccamento reciproco, e talvolta succede che si capiscano a vicenda meglio di quanto li capiscano i genitori stessi. E’ stato osservato che si sorridono l’un l’altro più spesso che ai genitori o a figure adulte sostitutive. Un’identificazione reciproca si può vedere nei comportamenti ribelli, con gesti condivisi di rabbia e opposizione contro gli adulti”.
L’equipe giunse alla conclusione che dopo la nascita di un fratellino o di una sorellina il bambino impara a gestire meglio le proprie pulsioni aggressive provocando uno spostamento della triangolazione edipica, per cui il nuovo nato non sarebbe un rivale del fratello ma un alleato contro i genitori. Grazie a questa intesa, che Melanie Klein chiama “una segreta complicità” dell’attaccamento erotico tra fratello e sorella, il fratellino sarà un aiuto per superare il complesso edipico e stabilirà con lui un rapporto che “può facilitare la risoluzione del conflitto edipico con i genitori” e influenzerà, da adulto, la scelta del partner.
Spesso nel mancato superamento di atteggiamenti riferiti alla nostra identità filiale e fraterna risiede la crisi di un matrimonio: un litigio fra i coniugi conserva il tono aggressivo di un litigio infantile.
Il mancato proseguimento nel lavoro intrapreso dall’equipe di Yale si spiega nelle critiche mosse da numerosi psicoanalisti, i quali ritenevano quelle ricerche basate su osservazioni empiriche e non in linea con la prospettiva psicoanalitica secondo la quale la comprensione dell’inconscio avviene attraverso l’analisi del sogno: i ricercatori di Yale avevano rivoluzionato i principi psicoanalitici.

Letizia di Memmo
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